martedì 18 febbraio 2014

Vignamorello 2010 - Azienda Agricola la Tosa

 
 
L’Azienda Agricola La Tosa è uno dei punti di riferimento della viticultura nel piacentino, specialmente per l’eccellente e costante lavoro di perfetta aderenza dei loro prodotti con il territorio.
Avevo già avuto modo di assaggiare il loro Sauvignon scrivendone qui, questa volta è arrivato il turno di mettere nero su bianco le impressioni ricavate dal loro Vignamorello 2010, cavallo di razza e vero e proprio portabandiera della cantina piacentina.
Il Vignamorello è un Gutturnio Superiore, nato dalla sapiente unione di un 55-60% di Barbera con un 40-45% di Bonarda, entrambe provenienti dal vigneto Morello (mi pare ovvio), esposto a nord-sud a circa 200 mt sul livello del mare.
Alla produzione del Vignamorello viene dedicata particolare cura e attenzione, con un diradamento dei grappoli e una raccolta a maturità delle uve avanzata.
Nell’annata 2010 la vendemmia è avvenuta nei giorni 29, 30 Settembre e 1 Ottobre quando le uve hanno raggiunto l’equilibrio atteso.
Produzione totale di 12300 bottiglie, mi sono aggiudicato la numero 1325 come da retroetichetta.
 
 
E’ d’obbligo la premessa che assaggiare un 2010 di questo vino a Febbraio 2014 è un autentico delitto in quanto questa è bottiglia di gran stoffa che dovrebbe essere aspettata per molto più tempo, diciamo una decina d’anni dall’imbottigliamento almeno.
Infrangendo quanto appena scritto mi ritrovo di fronte a un rosso rubino carico e compatto, impenetrabile e di notevole consistenza, il titolo alcolometrico recita 15% in etichetta.
Il naso è in principio chiuso, come se irretito dalla nostra impazienza. Si lascia andare dopo qualche decina di minuti a fragranze di frutta nera matura, mora, mirtillo, prugna. Aromi terziari fanno capolino seppur non ancora evidentissimi, legno dolce, liquirizia nera sul finale. Inconsueta nota plasticosa ad un secondo attacco olfattivo.
In bocca opulento e ampio, con una decisa nota alcolica e un tannino ancora potente. Spalla acida che ben sorregge le morbidezze gliceriche e alcoliche.
Ottima corrispondenza con l’esame olfattivo in un crescendo fruttato che sfuma su note legnose (6 mesi di barrique di 1 e 2 anni) e di liquirizia.
Dimenticavo di dire che viene imbottigliato senza alcuna chiarifica e senza filtrazione, andrebbe pertanto sempre decantato (sì non ho fatto nemmeno questo)

Non diamo i numeri ma se proprio si vuole qui sono 90 punti tondi.

 


martedì 5 novembre 2013

Il Sangiovese di Bolgheri

L'altra sera ho assaggiato il Cavaliere di Michele Satta ad una degustazione, ma la fortuna è stata quella di poterlo provare con Michele a fianco che, benché indaffarato nel suo impegno di mescitore, è riuscito a raccontare con il suo entusiasmo e la sua disponibilità la nascita e l'affezione che prova per questa speciale etichetta della sua produzione bolgherese.
Cavaliere è sangiovese in purezza che nasce da una accurata selezione delle uve, raccolte a piena maturazione, diraspate e fermentate in piccoli tini di legno di quercia, prima di affinare in barrique per dodici mesi e riposare in bottiglia a lungo prima della commercializzazione. Mi spiega Michele come il 2007 sia l'ultima annata in commercio, come cerchi di produrre vini intesi per essere apprezzati da subito quando messi in vendita, sebbene anche capaci di invecchiare e migliorare nel tempo.
E' un IGT in quanto non prevede aggiunte di vitigni internazionali a "sporcare" l'autenticità di questo sangiovese che seppur in una annata difficile come il 2007 è stato capace di regalare un vino davvero notevole per la particolare commistione di eleganza e rusticità.
Più volte Michele si è riferito a lui come a un sangiovese "pinotnoireggiante" (mi si passi la licenza poetica), riferendosi credo alle loro affinità nel colore scarico, nella elegante persistenza e nella notevole complessità. Ci sono però anche le tipiche folate rustiche del vitigno, una bella freschezza e un tannino levigatissimo che si fatica a percepire. Non eccessiviamente strutturato, regala sensazioni fruttate ma anche profumi terziari intriganti come la liquirizia e un sottofondo di cacao.
Non manca un accenno minerale donato da quel terroir bolgherese al quale Michele è cosi legato.

venerdì 25 ottobre 2013

#viniacasamia

Una casa, un produttore, persone.
 
In estrema sintesi questo è #viniacasamia, la formula che Marco Ghezzi ha ideato e alla quale per la prima volta ho potuto partecipare proprio ieri sera in occasione della gradita visita a Milano della Azienda Agricola il Calamaio, da San Macario in provincia di Lucca.


Chiaramente c'è molto più di quanto non dicano da sole le tre parole di cui sopra. C'è l'ospitalità del padrone di casa e il calore di una atmosfera familiare animata da una passione che accomuna tutti i presenti che spesso sono semplici estranei almeno fino a quando non varcano il portone della casa di Marco. Dopo tutto cambia, il vino svolge il suo ruolo di collante invisibile e naturale e tutto si svolge in un ambiente rilassato e gioviale.
La presenza di volta in volta di un produttore che in persona provvede a portare, spiegare e servire i propri prodotti ovviamente fornisce quel quid in più per rendere l'evento unico nel suo genere.
Proprio ieri sera è stato il turno di Samuele, disponibile e appassionato produttore lucchese che ci ha fatto assaggiare i suoi tre vini.
Proprietario dell'azienda Il Calamaio dal 2003, ci spiega come sia ormai avvenuta la trasformazione da una agricoltura convenzionale ad una biologica. Entusiasmante ascoltare la dedizione e la grande attenzione che mette in ogni attività sia in vigna che in cantina, per una produzione che non arriva alle 10 mila bottiglie, un numero straordinariamente piccolo se rapportato alle produzioni medie di tante aziende vinicole, ma che rende ancora più speciale ogni singola bottiglia che produce.
 
 
Il Soffio 2012 è un bianco atipico, composto da un uvaggio originale e sicuramente inedito. L'unione di Chardonnay, Petite Arvine e Petit Manseng crea un vino piacevole, dal colore quasi dorato (il Petit Manseng ci spiega Samuele essere vitigno che contribuisce in maniera particolare al colore), dalla discreta struttura e alcolicità. Forti sferzate sapide (il Petite Arvine stavolta) e una buona freschezza.
 
 
Il Poiana è sangiovese in purezza, stavolta una scelta territoriale. Gran bel prodotto. Il 2011 è pronto da godere, con la sua rusticità, la sua freschezza e un tannino tenue che non ostacola la bevibilità. Nessun passaggio in legno, un vino per tutti i giorni dalla bella complessità e un rapporto qualità/prezzo commovente.

Si chiude con l'Antenato 2012, risultato di vigne più vecchie che superano i 40 anni e di una unione di vitigni autoctoni ormai quasi scomparsi o difficilmente utilizzati in uvaggio (barsaglina, mazzese, buonamico, aleatico ecc..). Soltanto da pochi mesi in bottiglia, lascia intravedere le sue potenzialità con un naso che presenta frutta e accenni speziati, ancora non nitidissimi causa una leggera volatile. In bocca ancora non equilibratissimo, acidità e tannini ci sono e va dato loro il tempo di integrarsi nel frutto e nella splendida piccantezza che ho trovato nel finale. Un vino che aspetterei un anno almeno per ritrovarlo in grande spolvero. 
 
 
In ultimo la confessione di avere piantato da un paio di anni un piccolo numero di piante a Pinot Nero, non ci resta che aspettare per assaggiare la sua versione.
 
Grazie a Samuele e Marco per la bella serata. Alla prossima.

mercoledì 16 ottobre 2013

Abruzzo di sera


Ricordi di una serata settembrina in tono abruzzese presso l'Osteria del Treno a Milano, con un banco d'assaggio composto da quasi un centinaio di etichette di circa una trentina di cantine abruzzesi, sparse su tutto il territorio regionale tra le provincie di Chieti, Teramo e Pescara.

Un tempo le uve del vigneto abruzzese (soprattutto il Montepulciano d'Abruzzo) erano per la maggior parte "esportate" fuori regione per fungere da uve da taglio, ora invece le cose stanno cambiando e le produzioni di qualità sono in forte aumento. Resta il Montepulciano il vitigno portabandiera della regione, così come sono i vini rossi a costituire la maggioranza del vino prodotto.

Ecco divisi tra bianchi e rossi quelli che più mi sono piaciuti e/o mi hanno sorpreso per una particolare caratteristica o modalità di produzione.

Pasetti Colle Civetta 2011 
Uno dei due pecorino dell'azienda Pasetti, il più complesso, affinato sulle fecce nobili per 2 mesi prima di una sosta di quasi un anno in bottiglia. Bel prodotto, color giallo paglierino tendente al dorato. Naso di discreta complessità con sentori di frutta matura, sambuco, ma anche già più evoluti di gomma, un lieve accenno di tropicalità.
Morbido in bocca, abbastanza caldo, di una certa ampiezza, abbastanza persistente e con una struttura niente male. 
 
Notàri Trebbiano Superiore Nicodemi 2012 
Gran bel trebbiano. Struttura importante, 10% affina e svolge malolattica in barriques, il restante in acciaio. 
 
Masciarelli Trebbiano Colle di Semivicoli 2009 
Trebbiano ottenuto da viti pluridecennali, note ancora fresche al palato, un filo scarico nel suo sviluppo organolettico ma comunque di interessante struttura. Un intero anno in acciaio prima di 18 mesi di bottiglia.
 
Escol San Lorenzo 2008 
Montepulciano d'Abruzzo Colline Teramane Riserva. Primo esempio di Montepulciano di grande spessore, ancora un bambino questo vino che poco si svela nel bicchiere dato che necessiterebbe di molti più anni per avvicinarsi al suo picco evolutivo. 24 mesi di barrique che si fanno sentire ma sono ben amalgamate alla frutta rossa e alle note speziate. Buona morbidezza ma la gioventù denota ancora l'irruenza del tannino e la sua parallela alcolicità. Molto buono e da aspettare.
 
Iskra Masciarelli 2004 
Prodotto relativamente nuovo questo Iskra da parte della azienda Masciarelli, una "scintilla" (questo il significato di iskra) nata nel 2003 e del quale si è potuto assaggiare l'annata 2004. Viti con età media di circa 45 anni, un intero anno ad affinare in barrique nuove prima di passare un anno in acciaio e ancora altro tempo in bottiglia ad assestarsi. Grande eleganza e longevità.
 
Contesa Montepulciano 2008 
Altra riserva di Montepulciano, 10/12 giorni di macerazione con rimontaggi prima dell'affinamento di 20 mesi in botti grandi da 30hl (uno dei pochi assaggiati). Vino di grande struttura che a differenza dei suoi cugini barricati regala sensazioni molto meno tostate e più verdi, con note di olio d'oliva davvero interessati. Medio corpo rispetto ad altri assaggi, ottima persistenza.
 
Harimann Pasetti 2006 
Mastodontica versione di Montepulciano. 24 mesi di barrique e 18 di riposo in bottiglia. Di grande intensità e finezza, possente nel corpo e nella struttura, persistenza quasi interminabile, con una morbidezza e una alcolicità che rimandano a produzioni in stile amarone e sforzato. Ampissime possibilità di invecchiamento. Vino di razza.

giovedì 10 ottobre 2013

Albani - Costa del Morone 2004


Pranzo domenicale a base di carne, richiesta di un rosso di un certo corpo. Il cibo lo suggerisce, il clima lo avvalla.
In cantina trovo questa bottiglia che riposa da qualche anno ormai, classico rosso Oltrepò. Diffido leggermente perchè troppe volte sono rimasto deluso da questi uvaggi oltrepadani, spesso estremamente gnucchi e coperti dalla nota legnosa.
Mi convinco però perchè Albani è un produttore che conosco personalmente, ho assaggiato la loro Bonarda diverse volte e in diverse annate e ho un ricordo ancora vivido di una Barbera 2005 da urlo. Producono tramite Agricoltura biologica da più di un decennio ormai e questo rosso è guarda caso datato 2004, quindi già all'interno di questa finestra temporal-biologica.
Decisione presa, stappatura immediata, circa 3 ore prima del pranzo, perchè questo bisonte ha bisogno di un minimo di respiro prima di regalarsi ai suoi commensali.

Eccoci finalmente alla mescita.
Nel bicchiere rosso granato sorprendentemente scarico di colore, penso a una macerazione non troppo lunga, consistenza importante.
Naso interessante, di non irreprensibile finezza ma con un ventaglio olfattivo piuttosto ampio. Le ore di ossigenazione hanno aiutato. Note floreali (composizioni di fiori rossi) e fruttate (mora, mirtillo), alcune speziate, legno di sandalo, cannella, una lieve sfumatura chinata, cuoio, accenni balsamici sul finale.
All'assaggio parte in sordina, si lascia andare dopo qualche tempo scoprendo piano piano dapprima la sua ancora grande freschezza (la barbera mi dico), poi l'irruenza di un tannino ancora presente sebbene non troppo ruvido. Interessanti cenni carnosi in bocca, quasi ematici. A tratti pare di sentire della passata di pomodoro. Ancora la frutta, chiude con una vena quasi liquorosa in stile Porto. Molto caldo nel finale, forse troppo. I suoi 15 gradi e mezzo si sentono tutti, va detto.
Il lieve residuo nel bicchiere e in bottiglia mi lasciano il dubbio filtrazione si, filtrazione no.
Interessanti domande alle quali spero di ottenere risposta nella mia prossima visita, era l'ultima bottiglia.

sabato 5 ottobre 2013

Bott Freres Riesling Reserve Personelle 2009


Riesling e Alsazia, connubio praticamente inscindibile, di quasi immediata associazione, non fosse che il vitigno bianco (forse) più famoso tra i wine nerds cresce (tanto e bene) anche in Germania e non solo.

Qui siamo a Ribeauville, capoluogo della regione più bianchista della enologia francese.

Nel bicchiere bel colore pieno, il naso che ti aspetti, minerale, le famose note idrocarburiche lì che spingono, quasi nascondono le sfumature fruttate. Invita alla beva non c'è che dire.
L'assaggio è abbastanza opulento, dapprima il residuo zuccherino (circa 13 g/l), poi la pesca e qualche lieve nota citrina, chiude l'attesa sferzata acida, non tutta quella che mi aspettavo a dire il vero.
 
Bottiglia pulita, diretta, senza sbavature e con le basilari caratteristiche di un riesling alsaziano da libro di testo. Manca un pò l'antitesi dolce-acido che tanto spicca in Mosella. Un filo flebile lo sviluppo aromatico gusto-olfattivo.

Un vino ben fatto, ma non ho trovato l'anima.

mercoledì 2 ottobre 2013

Farewell Nalba



Ci siamo, la fine è arrivata.

Tennistica intendiamoci, ma tant'è quella conta per noi. La Nalba è arrivato al capolinea, troppo carico di acciacchi per continuare a lottare con ragazzini assatanati e per tentare operazioni di recupero lui che mai è stato uno Stacanov dell'allenamento e mai si è distinto per un fisico scultoreo, sfoggiando fieramente una pancia che suggeriva qualche asado e qualche birra di troppo.

Non mi metterò a snocciolare dati e statistiche sulla carriera, chè ci sono tanti a farlo e anche molto meglio di me. Mi limiterò a dire che finirà ricordato come uno dei migliori tennisti argentini all-time, di sicuro uno tra i giocatori più completi e talentuosi a non avere mai vinto un titolo dello Slam (l'unica finale, giunta a sorpresa e troppo presto, non ebbe storia a Wimbledon contro Rusty Hewitt al suo meglio, lontano 2002), ma con scalpi eccellenti e numerosi (scherzò Nadal più volte indoor) e non sempre in tornei minori, aggiudicandosi un Master di fine anno in finale con il Federer del trienno cannibale (2005).

Il carattere non sempre facile lo porta ad alcune frizioni interne (con Palito soprattutto) nel team di Davis, che ha avuto per anni il potenziale per vincere la sospirata insalatiera e mai è riuscito nell'intento. 
Lascia quindi con qualche rammarico non più risolvibile per ovvie ragioni anagrafiche ma soprattutto fisiche, troppi gli infortuni affrontati in questi anni e una spalla ormai fuori uso.

Addio Nalba, ci mancherai.