mercoledì 17 luglio 2013

Serata in bianco (in enoteca)

Serata in enoteca con amici, qualche bottiglia di vino a guidarci in pensieri ed elucubrazioni, qualche piatto a fare da complemento e perchè no da abbinamento.

Siamo in piena estate, le serate di Milano sono torride nonostante il 2013 sia stata per ora un'estate piuttosto piovosa e scorbutica, la giornata odierna è stata però calda e la serata prosegue sugli stessi binari, urgono quindi dei bicchieri pieni per spegnere i bollori.

Le esigenze climatiche ci obbligano a rimanere su vini bianchi, di seguito quindi appunti sparsi del percorso intrapreso nella serata.

Riesling Falkenstein 2011
 
Il più tedesco dei nostri Riesling proviene dalla Val Venosta, più precisamente dalla cantina Falkenstein in quel di Naturno, località di montagna dominata dalla Rocca del Falco. Questo Riesling proviene dalle mani di Fran Pratzner, viticoltore capace che conosce vitigno e territorio al punto tale da saperli fondere al meglio al fine di garantire quelle sensazioni che solo un Riesling di pregio può dare. Proprio come per i prodotti della Mosella anche questo potrebbe essere aspettato anni per poterlo scoprire in tutte le sue declinazioni ed evoluzioni, per questo motivo l'averne bevuto il 2011 è comunque una forzatura e per citare un bravo giornalista e scrittore di vino, un "infanticidio".

Nonostante la giovanissima età nel bicchiere si presenta con un colore giallo paglierino molto lucente, ma è al primo naso che capiamo subito di trovarci di fronte a un gran bel vino, che possiede tutte le caratteristiche olfattive che rendono famoso questo vitigno.

Mineralità soprattutto, folate idrocarburiche mischiate a una forte nota speziata di pepe nero si evolvono nel bicchiere fino a far trasparire sfumature più fruttate ed agrumate, limone, cedro che lasciano poi spazio a pesca gialla e profumi più tropicali con l'ananas a venire fuori più di tutto il resto.

In bocca una bella acidità supportata da una corretta sapidità stuzzicano la salivazione e la ricerca di un abbinamento gastronomico. Noi abbiamo optato per un accostamento geograficamente distante ma che ha trovato discreta corrispondenza gustativa. Le friselle tipiche pugliesi con pomodorini e capperi, innaffiate da un buon olio extravergine d'oliva di una nota azienda vinicola siciliana hanno perfezionato la degustazione con un finale ancora sapido ben deterso dalla spalla acida del Falkenstein.

In conclusione un bel vino che tiene il passo dei più famosi cugini alsaziani e tedeschi.
89 pt.


Dolèe Vie di Romans 2010

Non servono presentazioni per introdurre Vie di Romans, azienda vinicola friulana di Mariano del Friuli che ogni anno produce batterie di vini bianchi prevalentemente monovitigno dalla qualità media commovente.

La nostra scelta è caduta sul Dolèe, Friulano (serve ancora dire che è il vecchio Tocai?) in purezza. Il nome del vino deriva dalla coltivazione della colza e dell'olio che se ne ricavava, quando l'olio d'oliva era ancora solo per i ricchi. Appena servito nel bicchiere se ne denota subito una grande brillantezza e pulizia, un giallo paglierino carico con alcune note dorate che ne lasciano trasparire la grande concentrazione.

Il naso è intrigante, intenso, complesso, con note fruttate di frutta gialla tendente al maturo (pesca, ananas) avviluppate a sfumature ammandorlate che si intervallano con sentori di morbidezza tale che lascerebbero intuire una malolattica che invece non c'è stata, incredibile la concentrazione e l'estratto di questo prodotto, capace anche in bocca di soddisfare con note suadenti di frutta e mandorla (la più tipica nota del vitigno è qui estremamente presente e aggraziata). Ben presente la spalla acida a fare da contraltare alla buona rotondità in bocca che accompagna fino a un finale piacevole e di buona persistenza. E' vino complesso, che richiama l'abbinamento con un piatto in grado di non essere soggiogato dalla sua potenza.

La bevibilità paga leggermente questa grande concentrazione, è vino da pasto completo, che può peraltro accompagnare senza problemi.
91+ pt.

Chiarandà Donnafugata 2008
 
Non facile cercare di alzare l'asticella dopo Vie di Romans, tentativo effettuato con una sortita in terra sicula. Lo Chardonnay di Donnafugata, abbinato a una degustazione di formaggi francesi. Chiarandà è uno dei vini di punta della famosa azienda vinicola siciliana. Proviene dalla Tenuta Contessa Entellina, nella Sicilia sud-occidentale.

Nel bicchiere è di un giallo dorato di una certa lucentezza, limpido e invitante. Al naso propone subito tutte quelle caratteristiche olfattive tipiche dello Chardonnay trattato con la rovere, stile tanto amato dagli americani. Frutta matura con forti accenni di banana, vaniglia e burro. Il calore della Sicilia lo si percepisce dal colore e dalla concentrazione del prodotto che sebbene abbia già 5 anni dietro le spalle, lascia intravedere un forte potenziale di invecchiamento che potrebbe smerigliare leggermente quelle forti note burrose ereditate dalla permanenza in legno francese.

In bocca bell'ingresso, delicato ma intenso, che si sviluppa su aromi in linea con la parte olfattiva, un vino di certo morbido dove l'alcolicità è abbastanza evidente, ancora presente la spalla acidà ma sicuramente permeata dalla rotondità del vino.

L'abbinamento con i formaggi, teoricamente adatto, si è rivelato non del tutto equilibrato dato che almeno tre dei quattro assaggiati avevano una stagionatura e un forte sapore che lo Chardonnay ha fatto fatica ad arginare.

Chiaramente un vino ben eseguito, che non riuscirebbe a convincere i detrattori dello Chardonnay passato in legno ma che entusiasmerebbe invece i sostenitori degli Chardonnay della Napa.
88 pt.

sabato 6 luglio 2013

World War Z

 
 
A chi non piacciono gli hamburger?
Riassumerei con questa domanda la mia semiseria valutazione/recensione del film World War Z che ho visto pochi giorni fa.
Dal titolo del blog si intuisce la mia passione per il vino, da qui deriva (non necessariamente ma nel mio caso si) che ne abbia anche per la cucina in generale. Sembrerebbe ovvio che chi è appassionato di cucina e di gastronomia sia de factu un osteggiatore del fast food, cibo americano per eccellenza, il passo poi verso il junk food è breve da lì...
Perchè continuo a parlare di cibo e non di cinema?
Perchè World War Z a me ha fatto lo stesso effetto di mangiare un grosso, grasso, unto baconcheeseburger (my favourite), magari uno di quelli stile Man vs Food (se vi piace il mangiare grasso e sporco non perdetevi questo programma).
Sia chiaro, la reazione che mi procura un cheeseburger con una bella birra gelata è tutto tranne che negativa. Sicuramente non lo vorrei mangiare tutti i giorni, sicuramente non è il miglior cibo possibile, ma di fatto a me di tanto in tanto piace.
 
World War Z è un cheeseburger formato pellicola.
Il film di Marc Forster (regista che sta virando verso i blockbuster dopo un inizio di stampo più intimista con film come Monster's Ball e Neverland) si sviluppa attorno alle vicende di Gerry Lane, (interpretato da Brad Pitt, che qui produce con la sua Plan B Entertainment) un ex investigatore delle Nazioni Unite, e della sua famiglia, alle prese con (ancora loro) zombie poco amichevoli che in breve tempo portano terrore e distruzione su scala mondiale.
In un periodo in cui abbiamo avuto un buon numero di disaster movies e serie Tv americane su zombie e affini, non era facile districarsi tra il già visto, il ridicolo involontario e la noia.
Wolrd War Z riesce in tutto questo a mio avviso in maniera abbastanza brillante, puntando su una prima parte molto dinamica e su una seconda invece un attimo più rallentata da vicende e necessità di copione. Il film scaturisce da un libro scritto da Max Brooks (figlio di cotanto Mel), romanzo epistolare dove tanti racconti di persone sopravvissute delineano e tratteggiano gli eventi post infezione. Gli sceneggiatori qui hanno invece dovuto creare un storia che avesse un inizio e una fine, utilizzando e ove richiesto modellando il materiale del libro.
Si parte quindi subito in piena action, con la famiglia felice costretta a scappare in fretta e furia da quella che sembra essere una epidemia di follia collettiva. Bisogna dire che nel corso del film (quasi due ore di durata) c'è più volte modo di vedere da vicino il buon lavoro fatto dai truccatori, ma quello che mi ha colpito di più sono state le (numerose) scene di massa con molte riprese aeree (impressionante la prima a Philadelphia, in realtà girata in George Square a Glasgow) roba da far quasi impallidire l'attacco al fosso di Helm di Peter Jackson.
Brad Pitt copre chiaramente il ruolo del protagonista e lo troviamo sballottato in diverse locations, ognuna delle quali dà il via a sequenze adrenaliniche al limite del realistico (non comunque meno realistiche di un cheeseburger a 6 piani, il suo gastronomico parallelo), che lo portano infine a una sede della Organizzazione Mondiale della Sanità dove potrà rifugiarsi, elaborare e mettere in pratica le sue teorie per salvare il mondo, in collaborazione con altri sopravvissuti tra i quali un serissimo Pierfrancesco Favino.
Finale da immaginare tra l'altro con possibili spiragli per un eventuale seguito.
Nel complesso un film non memorabile ma assolutamente godibile, per metterla enologicamente intenso ma poco complesso, abbastanza equilibrato.
Ogni commento è ben accetto.